di Aldo Potenza |

“L’idea destinata a farsi strada dagli anni ‘30 in poi, fu che i mercati non potessero pervenire da soli a una stabilizzazione, o almeno a una stabilizzazione ottimale in termini di benessere collettivo” A questa idea Keynes dette un contributo fondamentale e grazie all’apparato di pensiero che ne conseguì diventò dominante.

“L’egemonia culturale e di proposta che la socialdemocrazia ha avuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, e che incorporava quella visione, si è mantenuta anche quando hanno governato i conservatori.” Gli anni di massima affermazione “sono stati i decenni ‘50 e ‘60, allorché, grazie ad alcuni fattori supplementari connessi al regime monetario internazionale, le politiche redistributive e di regolazione del capitalismo si sono abbinate con un circolo virtuoso di domanda interna ed internazionale, che ha dato luogo al più grande sviluppo di tutta la storia economica occidentale.”

I problemi iniziano negli anni ‘70 a causa della spinta inflattiva dovuta alla crisi energetica e alla conseguente crisi delle condizioni prodotte nel sistema economico mondiale. Negli anni ‘70 le socialdemocrazie avevano realizzato gran parte dei programmi di welfare e ottenuto ottimi risultati sul versante della occupazione.

La crisi energetica e le conseguenze economiche che seguirono finirono col riversarsi sui conti pubblici e offrirono argomenti a quanti immaginavano che le conquiste socialdemocratiche fossero insostenibili.

Le socialdemocrazie furono investite di nuovi problemi ai quali non riuscirono a dare una risposta in termini adeguati alle nuove sfide, la conseguenza fu che ebbe terreno fertile la visione monetarista dell’economia e della società guidata nelle università dalle idee di Milton Freedman.

“L’errore della socialdemocrazia fu di non capire che a un formidabile apparato di pensiero si risponde” con una nuova capacità di elaborazione teorica di egual capacità nell’esercitare l’egemonia culturale.

Impegnata spesso nell’azione di Governo trascurò il compito di essere promotrice di nuove idee, di nuova cultura che non si limitasse alla retorica dei valori sociali sempre più lontani dalle reali risposte che furono capaci di assicurare.

Non seppe rinnovarsi alla luce delle nuove sfide condotte dalle idee neoliberiste che consideravano dovesse essere lo Stato sotto la sorveglianza del mercato, anziché il contrario. Il capitalismo così liberato dalla influenza della politica ha potuto affermare la propria egemonia consolidando la nuova ideologia del mercato.

Nacque così la nuova parola d’ordine “modernizzazione” che ebbe una spinta in Europa grazie alla svolta francese in senso liberista e filo-capitalista sotto la Presidenza di Francois Mitterand ad opera di Delors con la fine del programma comune con il PCF e il nuovo indirizzo politico che poneva in primo piano l’imprenditorialità privata, contro ogni “arcaica velleità di riformismo socialista”.

Iniziò la stagione delle privatizzazioni in particolare nel 1984 una riforma, in Francia, mise fine al sistema finanziario pubblico e l’ultima banca fu privatizzata nel 2001 da Laurent Fabius che solo 20 anni prima era stato fervente sostenitore della nazionalizzazione delle banche!!!

In conclusione per Delors la liberalizzazione dei capitali sarebbe stata indispensabile per giungere all’unione monetaria in Europa. Ovviamente questo indirizzo politico francese ebbe grandi conseguenze poiché il Paese che tradizionalmente era stato ostile alla libera circolazione dei capitali, avendo impostato una linea diametralmente opposta fece scuola in Europa. Infatti fu poi seguita in Gran Bretagna da Callagan.

La conseguenza sul piano politico fu che anche i più recalcitranti socialisti europei si convinsero (salvo alcune eccezioni che trovarono forti resistenze e nemici ben agguerriti) che lo Stato sociale interventista della “Vecchia Europa” costituiva “un modello irrimediabilmente esaurito e null’altro che il retaggio di una ideologia arcaica.” Sicché iniziarono le eliminazioni dei vincoli e una impetuosa accelerazione della globalizzazione dei mercati ritenendo che fossero indispensabili alla modernizzazione delle realtà economiche e sociali nazionali.

Poiché nessuna vera difesa delle sovranità nazionali o di aree più vaste, che intendano creare un comune destino economico sociale, è possibile in campo economico senza adeguati controlli pubblici, la tutela di quella sovranità fu considerata a sinistra come ostacolo principale alla modernizzazione.

Naturalmente gli effetti che si sono prodotti a causa della globalizzazione costruita sulla prospettiva culturale neoliberista, priva persino di una attenta valutazione dei sistemi sociali che sarebbero entrati in competizione, hanno determinato conseguenze devastanti sui sistemi sociali più avanzati provocando una progressiva perdita di consenso verso le politiche socialdemocratiche che apparivano ed erano in netto contrasto con gli elementi distintivi delle politiche sociali tipiche del socialismo democratico.

In una parola la conseguenza è stata la perdita della alternatività del socialismo democratico rispetto alle politiche neoliberiste e ciò ha comportato il declino delle forze socialdemocratiche.

La crisi finanziaria del 2008 ha pienamente evidenziato la debolezza del pensiero neoliberista, dimostrando quanto fosse ingannevole l’idea del mercato capace di autoregolamentazione e sono ritornate prepotentemente in campo le azioni degli Stati per arginare, almeno in parte, le gravissime conseguenze in campo finanziario, creando ulteriore debito pubblico, gravi conseguenze sul mercato del lavoro, ma non è stata sufficiente per avviare un radicale cambiamento delle politiche economiche e sociali.

Sono rimaste intatte tutte le cause della crisi e il pensiero dominante che l’ha provocata, anche se diversi intellettuali si sono impegnati ad indicare le responsabilità politico-culturali del neoliberismo.

L’attuale crisi pandemica del covid-19, giunta quanto ancora non sono state pienamente risolte le conseguenze della precedente crisi del 2008, ha posto in luce nuove è più devastanti conseguenze. Da un lato la fragilità di un sistema sanitario nazionale in parte compromesso a causa dei tagli ai finanziamenti e grazie alle privatizzazioni operate anche in questo campo, dall’altro a causa della recessione mondiale, che hanno inevitabilmente provocato le azioni di contenimento della diffusione del virus.

Si sono quindi sommate varie condizioni devastanti: crisi sanitaria, crisi economica e sociale a causa dell’aumento impetuoso della disoccupazione e dell’aumento della povertà.

Quale dovrebbe essere la risposta delle socialdemocrazie, e perciò di un nuovo e moderno soggetto socialista unitario a cui puntiamo?

Anche questa volta le forze economiche chiedono agli Stati l’intervento per sostenere le attività economiche e finanziarie. Stati che, dopo essere stati considerati di intralcio all’economia, dopo essere stati messi sotto accusa per le politiche sociali considerate insostenibili, ora dovrebbero su richiesta di quelle forze sostenitrici delle magnifiche qualità risolutive del mercato, ulteriormente indebitarsi senza pretendere di riappropriarsi di poteri regolatori sia del mercato finanziario sia dello sviluppo economico che siano rispettosi delle condizioni di vita dei cittadini e dell’ambiente.

L’attuale crisi apre, perciò, una occasione straordinaria di “cambio di passo” alle forze di ispirazione socialdemocratica. E’ il momento di ricostruire un ruolo più decisivo della Politica e della funzione dello Stato. Ciò comporta l’adozione di provvedimenti ed un nuovo intervento pubblico che non sia semplicemente composto da erogazioni finanziarie a fondo perduto, ma la ricostruzione, almeno in parte e dove possibile, di quelle partecipazioni statali che furono colpevolmente eliminate e che, come fu nella prima fase, siano protagoniste in settori strategici ed innovativi (anche per la latitanza dei “privati”) nonché nei primari servizi di interesse pubblico. La funzione pubblica può anche essere di sostegno per le imprese private nella misura in cui esse partecipino attivamente allo sviluppo di programmi funzionali alla crescita del sistema nazionale e della occupazione.

E’ il modo per riacquisire un minimo di influenza nella economia globalizzata evitando che si ripropongano gli errori del passato e favorendo il potenziamento sia delle aziende private sia del ruolo pubblico.

Ciò dovrebbe comportare un nuovo pensiero di ciò che un tempo fu la socialdemocrazia reinterpretandolo in una epoca profondamente diversa dal passato, in una società molto più complessa, dove sono aumentate le distanze sociali, le povertà, le precarietà non solo nel modo del lavoro. In questo contesto andrebbe rimodellato il sistema di welfare soprattutto nelle aree della educazione, della sanità e del contrasto alla povertà, superando per quest’ultimo aspetto la tendenza verso soluzioni meramente assistenzialistiche, spesso di impronta elettorale.

In altre parole l’attuale crisi è una grande opportunità per avviare un profondo cambiamento ben sapendo che questo non comporta e non può essere in alcun modo il ritorno alle politiche del passato, né per la socialdemocrazia, né per il neoliberismo. Deve essere l’occasione per favorire legislativamente la individuazione e la promozione concertata tra le parti di una nuova organizzazione del lavoro e di nuove forme/contratti di lavoro compatibili con l’introduzione delle nuove tecnologie, ma ponendo al centro della attenzione i diritti dei lavoratori e dei cittadini in un equilibrato rapporto con le esigenze della competizione economica internazionale.

Rispetto a quest’ultimo aspetto, una moderna ispirazione socialista e democratica non può non considerare fondamentale il ruolo della Unione Europea, rilevando che essa va ripensata attraverso una ristrutturazione dei Trattati ed una armonizzazione dei vari sistemi nazionali degli Stati membri in materia di diritti del lavoro e welfare ed in particolare di fiscalità.

A questo scopo ai socialisti spetta un compito straordinario che dovrebbe essere assolto chiamando tutte le forze intellettuali a misurarsi su un terreno di grande impegno riformatore politico-culturale.